Caffè Sicilia è una scuola di pensiero unica al mondo. Nessun’altra è rappresentata da un manifesto così efficace da stare in una sola parola. Nessun’altra, del resto, ha un manifesto che corrisponde allo stesso nome del padre fondatore. La filosofia di Assenza sta tutta nel suo cognome: il lavoro che porta avanti ogni giorno è eccellenza per sottrazione. Proprio come nella scultura, dove la rimozione graduale fa emergere infine il capolavoro.
Prima è toccato alla più grande dicotomia della cucina, dolce e salato, polverizzata dalla consapevolezza che la natura non separa il sapido dallo zuccherino, quelli casomai siamo noi. Ecco allora il gelato di carne, la crostata di pomodorini, l’oliva candita. Ma è stata una fase, poi per sottrazione anche quella è scomparsa per andare al nocciolo della questione, la pasticceria siciliana. Quella che troviamo al Caffè Sicilia, nella sua forma più elevata perché più pura.
Varcata la soglia subito colpisce ciò che non c’è. Il design rivisto dopo il botto su Netflix, i prezzi rivisti dopo il botto su Netflix, l’umiltà rivista dopo il botto su Netflix: nulla di tutto questo. C’è il caffè. Con il bancone, la vetrina dei dolci, i tavolini e la signora Nives alla cassa. È tutto quello che serve. Ci sono i camerieri, distillato unico di professionalità e simpatia, eppure quanti ne abbiamo incontrati così nei nostri bar. La superiorità della normalità. Niente arredi pretenziosi, niente personale leccato, niente regole né prezzi nuovi, quello che resta è la meraviglia del bar pasticceria all’italiana. Unico al mondo, sublimato nella sua essenza.
Sono commosso ma sono anche al bar, leggo la Gazzetta. Arriva il cannolo, arriva volando. Ricchezza senza gravità, dolcezza ma diversa, è un dolce più sfumato, frutto delle materie prime più che dello zucchero. La ricotta di pecora è spumosa, la cialda è asciutta ma non secca, splendida friabilità. Tutto è a fuoco, ogni elemento si riconosce distintamente, perfino la dolcezza in punta di piedi dello zucchero in superficie. E il principio di sottrazione si è portato via il candito, lo ringrazio.
La cassatina è purezza assoluta. La sensazione è che la ricetta sia stata smontata nelle singole componenti, come un orologio studiato in ogni meccanismo, e rimontata lavorando sui decimi di millimetro per cristallizzare lo splendore della più alta orologeria. La glassa, il pan di Spagna, i canditi sono ingranaggi che lavorano in totale fusione e scandiscono il tempo della degustazione dilatandolo all’infinito.
L’apparenza inganna sul serio e se gli occhi mi proiettano nella dimensione viziosa del Tiramisù, la bocca, al contrario, parte per un viaggio più raffinato, come a bordo di un Orient Express. Dal finestrino lande di mandorla delicata sferzate da raffiche di caffè Jamaica Blue Mountain, mentre nuvole spumose di zabaione corrono in un cielo che è già impresso per sempre nelle retine.
Provo le torte, ne provo tante. Il Trancio di Nocciola, il Trancio Imperiale e altre creazioni che si snodano lungo un filo conduttore che mi pare sempre più delineato. Ogni trancio sta a una torta convenzionale come la memoria sta alla vita: quello che resta è la sensazione struggente di quella lente che filtra solo il meglio. Così funziona, ci guardiamo indietro e la bellezza di ciò che è stato è così vivida da far scomparire il resto. I tranci del Caffè Sicilia sono memoria selettiva allo stato puro cosicché per sempre, nella nostra mente, non esisterà altra torta al di fuori di quelle di Assenza.
L’ultimo giorno è quello della colazione al bar prima di ripartire. Zuppa di mandorla e brioche: indelebile. La zuppa è calda. Prima mi abbraccia con la dolcezza di questa terra assoluta e poi mi preannuncia la malinconia che proverò con quel tocco purissimo e infinitesimamente amaro della mandorla di Noto. Insieme, la goduria totalizzante della brioche, delle sue ore di lievitazione e della qualità inarrivabile dei singoli ingredienti.
Guardo fuori dall’oblò mentre la Sicilia si fa più piccola e io sono in cielo e penso che alla fine certi principi sono così universali da valere un po’ per tutto. Come quello per cui togliere peso equivale a liberare il potenziale. Vale per il gruppo che torna a carburare abbandonata la zavorra dell’egocentrico, per il singolo che respira a pieni polmoni dopo un chilo di insicurezza incenerita. Per il vino contemporaneo che ogni anno perde un po’ di pesantezza e per questi capolavori di pasticceria così aerei da imprimersi per sempre nella memoria volando via insieme a me.
In Assenza di gravità.